Luglio 2017. Si è preso, dunque, il suo meritato riposo.

Era stato assunto il 12 gennaio 1970, fresco quattordicenne, al posto di una colonna della nostra azienda, Gino Nastasio.

Ha iniziato subito ad apprendere i segreti del mestiere, sotto la guida severa degli uomini della vecchia guardia che lui, con stima ma con qualche timore reverenziale, definiva i “caporali”, Artemio e Giovanni.

Dapprima si è dedicato al lavoro all’epoca più ostico, il salatore. Non esistevano allora i sofisticati macchinari d’oggi; bisognava sfregare la cotenna dei prosciutti a mano, con “olio di gomito”, battere gli stessi (oggi una macchina li “massaggia” delicatamente) con un robusto mattarello per favorire l’assorbimento del sale e far uscire il sangue residuo dai vasi femorali.  Il tutto veniva effettuato all’interno delle celle frigorifere, ad una temperatura decisamente invernale che non superava i 4 gradi. Al posto delle odierne calzature di sicurezza, morbide, antiscivolo, antishock elettrico, con rassicuranti puntali di protezione, si indossavano le “sgiavare” o “sgalmare”, rigidissimi e pesantissimi zoccoloni in legno ricoperti di cuoio nella versione “lusso”.

Invece dei guanti monouso di oggi, con inserto in cotone, si adottava uno stratagemma comunque efficace; della serie “del maiale non si butta niente” si prendevano due orecchie, si cucivano fra di loro e ne risultava una praticissima manopola che lasciava scoperto solo il pollice. Con quei proto-guanti – autoconservanti ad autoammorbidenti –  si praticava un salutare massaggio alle cosce fresche. E non si consumavano mai.

Nel 1976 la naja, proprio nel cratere del terremoto in Friuli. La sua caserma è stata rasa al suolo.

Al ritorno, acquisita una maggiore autonomia nel reparto salatura, si è messo alle “dipendenze” di Cesare Andriolo per apprendere anche il delicato lavoro della selezione, della disossatura e delle spedizioni, fino a diventarne il responsabile al pensionamento di quest’ultimo. La foto realizzata da Fulvio Roiter che lo ha fortemente voluto immortalare in mezzo ai prosciutti è certamente il più bel riconoscimento al suo lavoro.

Per stacco generazionale, si può dire che Moreno sia stato il primo non appartenente alla vecchia guardia, fatta di persone entrate in azienda dopo le primissime maestranze, a cavallo o subito dopo il secondo conflitto mondiale.

Nel 2010 ha maturato i requisiti per la pensione, ma l’età relativamente giovane, l’ottima salute e la passione lo hanno indotto a restare con noi, con una più rispettosa formula part-time, per altri sette anni.

Avrebbe voluto – e noi con lui – raggiungere i 50 anni di lavoro sempre da Fontana. Ma la scelta, saggia e razionale, di godersi per intero il meritato riposo ha prevalso sulla passione. Sappiamo poi benissimo che Moreno, come tutti quelli che lo hanno preceduto in azienda, non resterà con le mani in mano. Qualcosa da fare lo troverà sempre, senza l’assillo degli orari da rispettare.

Grazie, Moreno, grazie di tutto. Ed ora riposati un pochino.